Parola della Domenica
14 settembre 2025 -
Esaltazione della Santa Croce
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
L'Innalzato ci attira
Oggi la liturgia ci fa interrompere l’ascolto dell’evangelista Luca, per celebrare la festa dell’“esaltazione della santa croce”. Perché “esaltare” lo strumento che ha dato la morte al Signore Gesù?
Certo si tratta di una festa molto antica, che le prime comunità cristiane di Gerusalemme hanno iniziato a celebrare facendo memoria del ritrovamento della vera Croce da parte di Elena, madre dell’imperatore Costantino (14 settembre 320) e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme, avvenuta il 14 settembre 335. Una festa ecumenica tanto importante che per la Chiesa ortodossa è paragonata alla Pasqua.
Tuttavia rimane la domanda: perché “esaltare” oggi uno strumento antico di tortura così terribile e farne l’oggetto di una festa? Proviamo a metterci in ascolto della Parola per cercare di cogliere il senso di questa festa per il nostro tempo, per noi che oggi ci confrontiamo con l’utilizzo indiscriminato di molteplici e molto più letali strumenti di morte...
Ponendoci in ascolto della Parola della liturgia, possiamo dire che la Croce può essere “esaltata” perché Gesù, “innalzato” su di essa, è stato “esaltato” da Dio, come canta S. Paolo nell’inno della sua lettera ai Filippesi (seconda lettura): “Per questo Dio lo esaltò, e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome”. Qui addirittura Paolo inventa una parola nuova che viene utilizzata soltanto qui in tutto il Nuovo Testamento: dice che Dio ha “superesaltato” Gesù, cioè lo “ha innalzato al di sopra di tutto”. “Esaltare/innalzare” corrispondono ad un medesimo verbo greco che descrive il passaggio dal basso all’alto, da una posizione umile, piccola e insignificante all’essere posti in alto, in una condizione elevata. Ora notiamo che quando compare nel Nuovo Testamento questo verbo ha sempre come soggetto Dio, Colui che “esalta” è solo Dio. Infatti quando è l’uomo ad “esaltare/innalzare” se stesso è per un abbassamento ancora più rovinoso (“chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato” Lc 18,14; ma anche Lc 14,11; Mt 23,12; Mt 11,23).
Ora, se è Dio il soggetto che “esalta”, l’oggetto della sua azione è sempre l’uomo. E non un uomo qualsiasi. Dio innalza l’umile (come canta Maria nel suo Magnificat: Lc 1,52), l’uomo che si è confrontato con il proprio essere fatto di “terra” (Adam, l’uomo è “tratto dalla terra” e per questo ne condivide la fragilità). Questa posizione elevata Dio la dona proprio a chi “è disceso”, cioè ha conosciuto e abbracciato fino in fondo la sua condizione di mortalità/fragilità. Quella fragilità che è il proprio della nostra condizione umana. Riconoscerla, accoglierla e viverla come opportunità di relazione con Dio e con i fratelli, è la via che oggi questa festa ci indica.
È infatti la via che ha percorso Gesù, il “Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo”, cioè “è divenuto simile agli uomini”, assumendo la nostra umanità, fino alle sue estreme conseguenze, fino ad abbracciare “la morte, e la morte di croce”, come canta S. Paolo nella seconda lettura di oggi. Il “Figlio” che si è fatto carne divenendo “figlio dell’uomo” è il segno più concreto di quanto Dio abbia amato ogni uomo.
È l’amore infatti che ha mosso Dio a “dare il Figlio unigenito” e a cercare l’uomo là dove lui è. Il movimento tipico dell’amore è quello di “scendere”, cioè porsi in quella posizione dove poter accogliere l’altro dove e come lui è. E qui scopriamo il senso profondo di questa festa: possiamo celebrare la croce di Gesù perché è lo strumento dove risplende l’amore di Dio che vuole raggiungere ogni uomo: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutto a me” (Gv 12,32) dice Gesù.
La croce è lo strumento per mezzo del quale abbiamo conosciuto fino a che punto si possa spingere l’amore di Dio per l’uomo: fino a “dare la sua vita” pur di non venir meno al suo amore per noi.
Lo stesso S. Paolo ce lo ripete a più riprese in modo stupito: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8); e ancora: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? (…) Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”. (cfr. Rm 8,31-37).
Sì, la dimostrazione della grandezza dell’amore di Dio la troviamo nel movimento di “discesa” del Figlio che corrisponde al suo “innalzamento” sulla croce.
È qui che l’Amore può essere riconosciuto ed essere offerto ad ogni uomo. L’innalzamento del “Figlio dell’uomo” è perché gli uomini abbiano la vita (cfr. Gv 10,10). E Giovanni ce lo ripete in modo insistente nel vangelo di oggi: “bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato” perché l’uomo “abbia la vita eterna” (2 volte), “non vada perduto”, “sia salvato”.
La salvezza e la vita sono il dono offerto a chi, sollevando lo sguardo sul Crocifisso, vede che anche quello strumento così orribile di morte non può interrompere l’amore.
Il Signore conceda oggi anche a ciascuno di noi di riconoscere nelle piccole e grandi “croci” che la vita ci offre Colui che l’ha abbracciata prima di noi e che continua a portarla con noi e in noi. Attirandoci all’incontro con un amore più grande.
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».