
Parola della Domenica

2 Novembre 2025 -
Commemorazione Fedeli Defunti
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 37-41)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno».
Gratitudine e speranza
In questa giornata la liturgia ci offre l’orizzonte dal quale pregare e fare memoria di tutti coloro che hanno lasciato questa terra e lo fa, prima di tutto, accostando la celebrazione odierna alla festa di tutti i Santi che abbiamo celebrato ieri. Possiamo pensare anche tutti i defunti (a partire dai nostri cari, i parenti e gli amici che il Signore ha donato alla nostra vita) nel numero di quella moltitudine “che nessuno poteva contare” di cui ci parlava ieri il libro dell’Apocalisse. I morti sono coloro che hanno iniziato qui sulla terra a vivere nell’amore (questa è la santità!), ciascuno per vie diversissime e con tutti i loro limiti e fragilità, e che ora, varcata la soglia della morte, continuano questo cammino finché “Cristo non sia tutto” in loro (cfr. 1Cor 15).
Quindi il primo orizzonte che la liturgia oggi ci offre è quello della gratitudine e della speranza. Gratitudine per la vita di tutti coloro che sono vissuti nell’amore qui sulla terra, lasciando il segno nelle nostre vite e in quelle dei fratelli, attraverso il dono che hanno fatto di sé. E anche gratitudine per l’amore vissuto insieme, nella consapevolezza che nulla di esso è perduto, ma che tutto è definitivamente salvato. Speranza perché la loro vita dischiude anche per noi l’orizzonte della vita eterna, quella dove l’amore vissuto rimane per sempre ed è comunione con tutti.
Scriveva Papa Francesco a proposito della speranza: “I primi cristiani dipingevano la speranza come un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata sulla riva del cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. Questa è una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato dove sono i nostri antenati, dove sono i santi, dove è Gesù, dove è Dio. Questa è la speranza che non delude”.
La speranza che oggi celebriamo (e di cui parla la seconda lettura) scaturisce e si fonda sulla pasqua di morte e risurrezione di Gesù. Egli ha varcato la soglia della morte portando fino all’estremo il Suo amore per il Padre e per noi uomini. “In Gesù Dio stesso subisce l’irrazionalità della morte. Dio si inserisce proprio là dove si spezzano i rapporti e le relazioni vengono meno… Dove tutte le relazioni sono interrotte solo l’amore ne crea di nuove” (Rahner). E l’amore che risplende nell’evento della croce apre una nuova strada alla vita di tutti noi.
L’amore è la forza della risurrezione. Gesù è vissuto per amore, è morto per amore e, nell’atto finale di un amore totale, gratuito incondizionato al Padre e al mondo, ha fatto sbocciare nella morte la vita; perché l’amore è più forte della morte.
Per questo ogni uomo che crede all’amore, vive nell’amore e fa’ della vita un atto di amore sconfigge la morte fin d’ora qui sulla terra, ed entra nella “vita eterna”: “noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv. 3,14). Per chi vive nell’amore l’orizzonte che si dischiude a partire da qui è quello della vita, una vita dove l’amore è eterno.
Così in questo giorno in cui facciamo memoria dei morti, in realtà facciamo memoria di una promessa di vita. Far memoria dei morti, nella fede, è far memoria di un amore che ci precede e di essere fatti per avere vita in abbondanza.
Questa giornata è quindi in sé stessa già un evangelo, una “buona notizia”. È l’annunzio che il desiderio di Dio e il suo progetto per l’uomo è la vita eterna, non la morte. Nel Vangelo odierno Gesù lo ripete con forza. Dio entra in relazione con noi uomini non per “cacciare fuori” (v. 37), o per “perdere” (v. 39), ma per “risuscitare”, “non perdere”, “dare la vita (vv. 39.40). Gesù, che ci narra e ci mostra il volto di Dio, è stato inviato dal Padre nel mondo proprio per questo: perché “abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza”. E la “vita eterna” che Lui è venuto a donarci è la Sua vita data per noi, la vita di Colui che ha attraversato la morte nell’amore e per questo è risorto.
Questo è il dono che hanno ricevuto i nostri defunti e di cui oggi ringraziamo il Signore ed è il dono che Dio vuole fare a noi: “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno”.